26 ottobre 2008

Testimoni: Ernesto Olivero e Soeur Emmanuelle

Anche questa settimana vi propongo il mio fondo pubblicato sul Corriere della Valle.

E’ una settimana particolare quella che ho vissuto. Mi sono trovato a interrogarmi su cosa significhi testimoniare la propria fede. Venerdì la mia strada ha incrociato quella di Ernesto Olivero. Quaranta minuti di intervista a un personaggio per il quale Madre Teresa di Calcutta ha speso parole di lode impressionanti. «Ernesto Olivero – ha scritto in una lettera - merita il Nobel per la Pace perché è buono, un uomo qualunque, buono nel profondo, da sempre». «Una bontà così disarmante – si legge ancora - da incutere rispetto anche ai più forti, anche ai più feroci. Così disarmante da trasformare, grazie all’aiuto dei soci-collaboratori e di migliaia di volontari, un Arsenale di guerra in un Arsenale che produce pace, «bombe» di pace. «Bombe» da lanciare nei momenti di guerra più sanguinari: Iraq, Libano, Somalia, Ruanda... «Bombe» da lanciare in Paesi nei quali la pace esiste ma solo per chi se la può permettere. Come in Brasile». Olivero sa leggere la propria vita nella filigrana del Vangelo. Continuamente. Convince perché sa voler bene. E dice senza mezze misure che ai giovani occorre parlare chiaro. Parla di regole in una società che non le ama. Non ha una ricetta speciale, un segreto. Spesso nel suo intervento accanto alle citazioni evangeliche emerge improvviso un invito al buonsenso. E non dimentica noi adulti che, oggi, siamo spesso l’anello più debole, incapaci di reggere il peso di essere da esempio alle nuove generazioni. Olivero è anche duro nei toni, ma mai autoritario. Sicuramente autorevole, credibile. Percepisci che lui è disposto a starti vicino e che non ti abbandonerà mai, come quel giovane che vent’anni fa’, condannato a morire di Aids, all’Arsenale doveva trascorrere soltanto i suoi ultimi quindici giorni sereni di vita, fuori da una cella, su richiesta di un magistrato caritatevole, e che, oggi, è un volontario, ancora all’Arsenale. E poi lunedì la scomparsa di Soeur Emmanuelle. Il ricordo va indietro negli anni. E’ il 2000. Un sabato mattina di dicembre a St-Vincent, nell’atrio del Gran Hôtel Billia. La incontro per un’intervista che ritrovate in questo Corriere (e anche in questo blog ndr). Per il premio donna dell’anno le hanno dato la menzione speciale «Donna del secolo». La chiacchierata dura quasi un’ora. Un vero dono dell’Avvento. Un mini-ritiro su ciò che più conta nella vita. Oggi ho ancora impresso nella memoria il suo commento sul Giubileo. «Il Papa – mi dice - ha insistito enormemente su questa civilizzazione dell’amore e credo che del Giubileo rimarrà giustamente una specie di profumo, di desiderio, d’ideale che raggiungerà soprattutto i giovani, cioè la certezza che è possibile vivere sulla terra seminando e perseguendo l’amore di Dio e l’amore dei fratelli». Anche qui la capacità di amare e di voler bene. Null’altro ci è chiesto. Ma non è poco. Riflettendo su entrambe queste figure, mi è tornato alla mente un passaggio degli ultimi orientamenti pastorali. «Tutto – scrive Mons. Anfossi - dipende da come ognuno di noi vede se stesso nel mondo che abita. Se vede se stesso segnato dalle imperfezioni, dalla debolezza e dalla fragilità della condizione umana non sbaglia, certo. Deve però scoprire nel terreno della sua vita il seme gettato dal padrone del campo, pronto a fruttificare, e leggervi dentro un promessa di eternità».
Insomma vocazione e trasmissione della fede. Sono questi i due temi sui quali il Vescovo chiede il nostro contributo e su cui si sono concentrate, con una particolare attenzione ai giovani, le ultime lettere pastorali. Vi invito a riflettere su questi temi, magari in piccoli gruppi, all’interno delle parrocchie o delle associazioni. Vi invito a scrivere le vostre riflessioni inviandole al Corriere o direttamente al Vescovo. Tutti abbiamo qualcosa di bello da raccontare. Fosse anche soltanto il nostro semplice dire che siamo ancora qua. Che siamo ancora nella Chiesa. E’ dal nostro persistere nella fede che possiamo trovare il coraggio di prendere il largo e dire ai fratelli la gioia del Vangelo. (Pubblicato sul Corriere della Valle del 23 ottobre 2008)

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